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L'orrore dell'esperimento di Zimbardo

Nel 1971 nel seminterrato dell'istituto di psicologia di Stanford, a Palo Alto, il professor Philip Zimbardo diede vita ad uno degli esperimenti più clamorosi della storia della psicologia sociale che suscitò un enorme scalpore a causa degli effetti devastanti che si riversarono sui partecipanti. Il professore e i suoi collaboratori vollero indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza. Riprendendo alcune idee dello studioso francese del comportamento sociale Gustave Le Bon; in particolare la teoria della deindividuazione, la quale sostiene che gli individui di un gruppo coeso costituente una folla, tendono a perdere l'identità personale, gli studiosi riprodussero nei sotterranei dell'università un vero e proprio carcere.

Venne pubblicato un annuncio per reclutare giovani studenti che avrebbero dovuto partecipare ad un esperimento della durata di due settimane e in cui avrebbero ricevuto 15 dollari al giorno. Si presentarono più di 70 studenti tra cui ne vennero selezionati 24, sulla base di caratteristiche come assenza di comportamenti aggressivi, niente uso di alcool o droghe; insomma normali giovani studenti della classe media.

INIZIO:

Nella prima fase i 24 soggetti vennero divisi casualmente in due gruppi: 12 detenuti e 12 guardie carcerarie. Le guardie carcerarie vennero convocate in laboratorio e gli vennero assegnate le divise, degli occhiali da sole specchiati e dei manganelli. Non si diedero loro specifiche istruzioni su come mantenere l'ordine tra i detenuti.

Per quanto riguarda i soggetti che avrebbero dovuto interpretare i detenuti, questi vennero prelevati nelle loro abitazioni simulando degli arresti per rapina a mano armata, furto ecc. I detenuti una volta in 'carcere' vennero spogliati, disinfettati con una sostanza igienizzante e gli venne assegnata una divisa costituita da un berretto fatto di collant di donna, una tunica senza biancheria sotto e una catena al piede.

DEPERSONALIZZAZIONE:

In entrambi i gruppi avvenne fin da subito la depersonalizzazione. In particolare i detenuti vennero privati della loro identità facendogli indossare un berretto e una tunica,. Le catene ricordavano loro, anche di notte, dell'esperienza che stavano vivendo; impedendogli di fuggire anche attraverso il sogno. Vennero identificati non più con il loro nome ma con dei numeri e questo per renderli ancora più anonimi. Le guardie carcerarie a loro volta si sentirono subito parte di un gruppo che imponeva regole e punizioni in maniera aggressiva e spesso violenta.

QUALCOSA ANDO' STORTO:

I risultati di questo esperimento si dimostrarono particolarmente drammatici. Dopo solo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono all'interno delle celle inveendo contro le guardie; queste iniziarono a intimidirli e umiliarli cercando in tutte le maniere di spezzare il legame di solidarietà che si era sviluppato fra essi. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, a defecare in secchi che non avevano il permesso di vuotare, a pulire le latrine a mani nude. Inoltre svegliavano di notte i detenuti per impartire loro punizioni fisiche, come flessioni; queste, inizialmente, non vennero prese molto sul serio dai supervisori, ma successivamente si scoprì che le flessioni erano un mezzo di punizione molto usato dai militari nazisti. A fatica le guardie e il direttore del carcere (lo stesso Zimbardo) riuscirono a contrastare un tentativo di evasione di massa da parte dei detenuti. Al quinto giorno i prigionieri mostrar

Zimbardo esperimento

ono sintomi evidenti di disgregazione individuale e collettiva: il loro comportamento era docile e passivo, il loro rapporto con la realtà appariva compromesso da seri disturbi emotivi, mentre per contro le guardie continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico. Venne fatta intervenire la dottoressa Christina Maslach (esperta in Burn-out) che assolutamente sconvolta chiese di interrompere immediatamente l'esperimento. A questo punto dopo solo 6 giorni l'esperimento della Stanford-Prison venne interrotto.

EFFETTO LUCIFERO:

Secondo lo stesso Zimbardo la prigione finta venne vissuta da entrambi i gruppi di soggetti come una prigione vera, perdendo i senso di orientamento, del tempo e della realtà.

Il processo di deindividuazione induce una perdita di responsabilità personale, ovvero la ridotta considerazione delle conseguenze delle proprie azioni, indebolisce i controlli basati sul senso di colpa, la vergogna, la paura, così come quelli che inibiscono l'espressione di comportamenti distruttivi. La deindividuazione implica perciò una diminuita consapevolezza di sé, e un'aumentata identificazione e sensitività agli scopi e alle azioni intraprese dal gruppo: l'individuo pensa, in altri termini, che le proprie azioni facciano parte di quelle compiute dal gruppo.

Nel 2008 Philip Zimbardo propose 'l'effetto Lucifero' la teoria secondo cui persone normali possono trasformarsi in persone malvagie.

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