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Terrorismo: aspetti psicologici


siria terrorismo

I terroristi, i kamikaze, non ci ammazzano soltanto per il gusto d’ammazzarci. Ci ammazzano per piegarci. Per intimidirci, stancarci, scoraggiarci, ricattarci. Il loro scopo non è riempire i cimiteri. Non è distruggere i nostri grattacieli, le nostre Torri di Pisa, le nostre Tour Eiffel, le nostre cattedrali, i nostri David di Michelangelo. È distruggere la nostra anima, le nostre idee, i nostri sentimenti, i nostri sogni. (Oriana Fallaci)

Lo stratega cinese Sun Tzu (4 ° secolo a.C.) affermava “uccidi uno, spaventa dieci”.

E' molto più facile definire la parola “terrore” rispetto a “terrorismo”; Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha fornito nel 1996 la seguente definizione:

"... l'uso illegale di forze o di violenza contro persone o cose per intimidire un governo, la popolazione civile o qualsiasi parte di essa, a sostegno di obiettivi politici o sociali".

Di fondamentale importanza è considerare l'aspetto della rete comunicativa che unisce le varie organizzazioni e l'ideologia che guida l'atto terroristico. Da un recente studio,in cui sono stati presi in considerazione 119 attentati terroristici nel mondo, emergono alcuni dati interessanti in relazione alla rete e all'ideologia di ogni singolo terrorista: la maggior parte degli attentati presi in esame in questo studio erano guidati da un'ideologia di natura religiosa e una percentuale più ridotta era spinta da motivi politici.

Per quanto riguarda l'aspetto psicologico una delle prime teorie si basava sul fatto che i terroristi fossero caratterizzati da uno specifico profilo “problematico” di personalità. L’ipotesi stessa che il terrorismo possa rappresentare una forma di psicopatologia, suggerisce naturalmente che i terroristi debbano aver vissuto dei traumi infantili causati da forti atrocità umane, come la “decapitazione, il rapimento o le esecuzioni di massa”.

Nei primi anni ’70 era opinione diffusa che i terroristi soffrissero di disturbi della personalità e che tra i ranghi dei gruppi terroristici ci fosse un numero eccezionalmente elevato di psicopatici, sociopatici, narcisisti e paranoici.

Anche dopo l’11 Settembre 2001 vi era la convinzione che tutti i terroristi credessero in cospirazioni da parte delle grandi potenze mondiali e soffrissero di una qualche forma di delirio o mania di persecuzione. Tuttavia, la ricerca sistematica di una psicopatologia terroristica o di un profilo unico di personalità terrorista ha dato risultati deludenti. Scrupolosi studi empirici condotti sulla “Banda Baader-Meinhof” tedesca, sulle “Brigate Rosse” italiane, l’ETA Basca e alcuni gruppi Palestinesi, non hanno riscontrato nessun elemento psicopatologico in comune tra i membri di queste organizzazioni terroristiche. Al contrario, la maggior parte dei punti della ricerca tende a sostenere la normalità dei membri di tali gruppi.

Per quanto riguarda l'evento terroristico gli obbiettivi principali sono :

  • creare ansia di massa, paura e panico

  • favorire un senso di impotenza e disperazione

  • dimostrare l'incompetenza delle autorità

  • distruggere il senso di sicurezza della società

  • provocare reazioni inadeguate da parte di individui o dell'autorità (ad esempio, la legislazione repressiva e / o incompetente o l'uso eccessivo della violenza contro individui e organizzazioni sospette).

  • Inoltre, gli incidenti terroristici su larga scala possono avere effetti negativi sui mercati finanziari mondiali, sul viaggio e sul turismo.

Le reazioni agli eventi terroristici possono essere diverse:

  • Emozionale: shock, intorpidimento, negazione,paura, ansia, impotenza, disperazione.

  • Cognitiva: disorientamento, confusione, pensieri intrusivi, immagini, ricordi, ipervigilanza (cioè maggiore senso del rischio) e vi può essere una compromissione della concentrazione e della memoria.

  • Sociale: ritiro, irritabilità, perdita di fiducia e fede, comportamento evitante.

  • Fisico: iperarousal, insonnia, perdita di energia

Per quello che riguarda le cause personali e le ragioni ideologiche che spingono il terrorista a portare a termine gli attacchi suicidi, da molti studi in letteratura emerge che la spinta principale sia determinata da una forte pressione sociale . Poiché la defezione del gruppo terroristico potrebbe essere demoralizzante per il resto dei membri, nonché pericoloso per il gruppo, le organizzazioni terroristiche devono indurre impegno pubblico e applicare pressione sociale, in modo da creare martiri che siano “affidabili” e che non cambino idea, sprecando settimane o mesi di preparativi costosi .

Di conseguenza, un elemento importante del processo di gruppo inerente la formazione esercitata sull'attentatore suicida è la creazione di un “punto di non ritorno” psicologico. Il candidato viene preparato alla sua azione di martirio, viene spinto a scrivere le ultime lettere a parenti e amici, viene videoregistrato mentre rivolge saluti di addio e incoraggia gli altri a seguire il suo esempio . La violenza deve essere legittimata come l’adempimento di un dovere secondo i propri valori, la famiglia, gli amici, la comunità, o la religione, mentre non agire viene percepito come un tradimento di tali ideali.

Vengono tenuti anche rituali e cerimonie che rappresentano dei veri e propri spettacoli culturali, in cui si compiono azioni simboliche, o procedure drammatiche proibite, socialmente standardizzate, e ripetitive, con lo scopo di rafforzare l’identità, suscitare emozioni, suggellare gli impegni e inculcare i valori dell’etica collettiva.

Si può solo immaginare la quantità di pressione che questo deve mettere sull’individuo che viene spinto a svolgere l’atto suicida come previsto. Inoltre, a causa della moralità implicata nell’attività terroristica per conto di una causa collettiva, e il sacrificio di sé che il terrorismo comporta, i gruppi terroristici premiano i loro operatori con notevole venerazione e accordando loro lo status di “martiri”. I cosiddetti “martiri viventi” sono soggetti a un indottrinamento costante, contenente elementi di esaltazione del proprio gruppo e della propria religione, in cui viene esaltato con enfasi il loro status speciale di santo. Un elemento importante nella creazione di una “realtà sociale” orientata al sacrificio estremo del martirio, è costituito dall’uso del linguaggio. L’attentatore, aspirante suicida, non viene indicato come tale, né viene indicato come un terrorista e neanche come un combattente per la libertà, ma appunto come un martire. Secondo la tradizione del martirio, dopo l’attacco suicida, si celebreranno i matrimoni tra il martire e le vergini in paradiso, a simboleggiare la sua ascesa al rango elevato di “eroe mitico”, tanto che sono persino pubblicizzati sulla stampa locale.

Riferimenti:

Berman, E. Ljtin. (2008). Religion, terrorism and public goods: Testing the club model. Journal of Publoc Economics, 92, 1942-1967.

David Alexander and Susan Klein. (2005). The psychological aspects of terrorism: from denial to hyperbole. J R. Soc. Med 98(12): 557-562

Kruglanski, A. W., Chen, X., Dechesne, M., Fishman, S., & Orehek, E. (2009, b). Yes, no and maybe in the world of terrorism research: Reflections on the commentaries. Political Psychology, 30, 401–417.

Merari, A. (2002).Personal communication,January 13

Moghaddam, F. M. (2003). Interobjectivity and culture.Culture & Society,9, 221–232.

Paul Gill, Ph.D., John Horgan, Ph.D., Paige Deckert. (2014). Bombing Alone: tracing the motivations and antecedent behaviors of Lone-actor terrorists. J. Forensic Sci 59(2): 425-435


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